Avevano suscitato clamore e preoccupazione inserendosi nei sistemi di quotidiani, aziende e istituzioni statunitensi e ora, dopo una pausa seguita alle polemiche scatenate dalle loro attività, gli “hacker” cinesi sono tornati più che mai attivi nella loro opera di compromissione, installazione di backdoor e furto di ogni genere di dati e informazioni sensibili.
A comunicare il ritorno alla (quasi) piena operatività degli “attivisti” è ancora una volta Mandiant, la società autrice del rapporto che lo scorso febbraio aveva accusato di hacking/cracking anti-USA l’Unità 61398 dell’esercito cinese.
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Generalmente ci si immagina che i creatori di virus e malware in generale se ne stiano ben nascosti e lascino operare il frutto del loro lavoro.
L’esperienza di alcuni ricercatori di AVG, invece, dimostra che ci sono anche hacker affamati di attenzione e piuttosto arroganti.
I ricercatori stavano lavorando su un malware sospettato di rubare i codici di Diablo III quando all’improvviso nella macchina virtuale che eseguiva il malware per studiarlo è apparsa una finestra di chat.
“Che state facendo? Perché analizzate il mio trojan? Che cosa volete da lui?” – è questo è il testo del messaggio comparso di punto in bianco, e non si trattava di un software, ma era davvero l’autore del malware che si era mostrato.
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